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Scopriamo le città del torneo: Poggiardo

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POGGIARDO, lu Pussardu, la città della Cripta di Santa Maria degli Angeli

Narra la leggenda che Poggiardo abbia avuto origine dopo la distruzione dei casali Puzze, Soranello e Casicalvi, ubicati in prossimità di Vaste, quando gli abitanti superstiti, trovandosi in disaccordo circa il luogo da deputare per l’insediamento del nuovo abitato, assegnarono la scelta alla sorte: pungolato perciò un bue, essi decisero che dove l’animale si fosse fermato, lì sarebbe sorto il nuovo centro, circostanza che si tramanda nel gonfalone cittadino.
Come ogni leggenda, anche questa conserva un fondamento di verità: essa trova Infatti dignità storica negli accadimenti che videro In Puglia l’arrivo dei Normanni (1068-1190), eventi sul quali maggiormente ci soffermeremo, per comprendere le dinamiche che furono alla base della nascita dei paese.
Erano quelli giorni che vedevano insediati nel Meridione i Bizantini da un lato, gli Arabi dall’altro, popoli sovente impegnati a farsi guerra tra loro non meno che contro altri, e, come c’insegna Salvatore Rausa: “Ogni lembo di terra era intriso di sangue”.
Alla venuta delle genti nordiche contribuirono numerosi fattori di ordine politico e sociale, tra i quali, per rilevanza, spicca proprio “l’invadente” presenza bizantina in queste piaghe, mal sopportata da Papa Benedetto VIII. Da quest’ultimo chiamate, fecero così il loro Ingresso sulla scena le truppe di Guglielmo, Dragone ed Umfredo, figli di Tancredi d’Altavilla, che facile gioco avrebbero avuto nella conquista dei territori Pugliesi, e che presto insediarono in tutto il Sud un vasto regno la cui capitale fu Palermo.
Appunto nel periodo normanno ebbe inizio il lento processo di “debizantinizzazione” del Salento, benché, come gli stessi normanni avrebbero avuto modo di verificare, la “grecità” dei salentini avesse radici assai profonde; tant’è, proprio ad opera di un normanno, il principe Beomondo, nel 1099 si edificò in Otranto quello che sarebbe diventato uno dei fari più fulgidi di tutto l’Occidente, il monastero di S. Nicola di Casole, del quale ci restano purtroppo solo poche rovine, dove i monaci basiliani posero la sede di una delle più importanti biblioteche d’occidente, punto di riferimento per le genti d’ogni lingua, nonché fonte di benessere culturale ed economico per tutto il territorio salentino.

Tuttavia, le basi per un trasferimento d’asse da Bisanzio a Roma erano ormai poste, e cosi ebbe a prodursi la decadenza di Otranto, con la fondazione della contea di Lecce (1069), nuova capitale di un territorio che ancora a lungo, ed ancor oggi, sarebbe stato ricordato come “Terra d’Otranto”.
Come spesso la storia c’insegna, però, il solutore di un problema può divenirne egli stesso la fonte, ed infatti la crescente potenza normanna non fu più gradita al papato, il quale strinse alleanza con gli stessi bizantini nonché con una feudalità pugliese ora più consapevole e perciò ambiziosa (durante la dominazione normanna si consolidò nel meridione il sistema feudale).
Alla morte dei re normanno Ruggero II, dunque, la neonata alleanza militare mosse contro il successore Guglielmo, il quale, per la natura della sua reazione, meritò presto l’appellativo di “Malo”: buona parte delle città ribelli di Puglia fu infatti rasa al suolo, sorte che, tra le altre e come già ricordato, toccò nel 1156 anche a Vaste, nonché ai tre casali di cui sopra, con la successiva fondazione di Poggiardo. E’ comunque certo che per Poggiardo non possa indicarsi una vera data di fondazione, bensì debba parlarsi di un lento e progressivo insediamento di genti che, già dai primi villaggi rupestri dei periodo bizantino, perdurò durante tutta l’età di mezzo e sino al periodo angioino, quando la fisionomia dei paese assunse un aspetto definito.
Numerosissime, com’è facile aspettarsi, le vicende storiche di cui Poggiardo fu teatro, e se di messapi, romani e bizantini s’è già narrato, molte altre stratificazioni la storia avrebbe prodotto, con l’avvicendarsi, dopo i Normanni, degli Svevi (1195-1266), degli Angioini (1266-1435), degli Aragonesi (1442-1502), degli Spagnoli (1506-1734), dei Borboni (1734-1861), per accompagnare infine la municipalità, dagli accadimenti che caratterizzarono il periodo risorgimentale, sino ai giorni nostri. Eventi l’un l’altro intrecciati e sovrapposti (la storia non conosce “salti”), che avrebbero lasciato tracce indelebili nella cultura, nell’arte, nel costume di Poggiardo.

Ecco che queste tracce ci occuperemo ora di illustrare, a cominciare dallo sviluppo dello stesso centro storico, il quale ha potuto beneficiare di un’espansione viaria dei centro moderno verso altre aree, mantenendo così intatta l’antica struttura. Come già s’è accennato, l’origine più antica è rupestre, da farsi risalire all’insediamento medievale sorto attorno alla cripta di S. Maria degli Angeli.
La cinta muraria risale al XV sec., quando la superficie circoscritta misurava 1,7 ettari, uno spazio sufficiente per l’esigua popolazione dell’epoca, il cui accrescersi, già dalla fine di quel secolo, ne determinò però lo scavalcamento. Nacque così la struttura del “borgo”, con le tipiche case organizzate “a corte”, viuzze dotate di un unico accesso dalla strada principale.
Il 1537 vide compiersi, per mano turca, la distruzione della vicina Castro, ed il trasferimento in Poggiardo, all’epoca feudo dei duchi Guarini, della sede vescovile; fu questo un fatto che accrebbe notevolmente l’importanza della cittadina, al punto di farne sede privilegiata per molta parte della locale nobiltà e di alte cariche religiose.
Ne deriverà una fioritura di ville e palazzi gentilizi riccamente decorati, i quali oggi ancora ne adornano le vie. Dalla prospettiva del visitatore, il centro storico di Poggiardo rappresenta un ininterrotto cesello, dove, nell’avvicendarsi di asimmetrie, angoli angusti ed imprevedibili spazi, trovano luogo i più suggestivi stili architettonici e quasi surreali si susseguono stupefacenti atmosfere di ombra e di luce.
E’ in questo scenario che emergono i monumenti più rappresentativi, tra i quali, per vetustà ed imponenza architettonica, subito s’impone il castello o, più appropriatamente, il palazzo ducale Guarini.
La parte più antica dell’edificio, ossia la torre rivolta al mare, fu edificata nel 1300, sotto dominazione angioina, e la nobile famiglia Guarini ne prese possesso nel 1466, ampliandone significativamente la struttura, la quale perse l’austera forma di castello feudale, per ingentilirsi nella nuova funzione non più solo difensiva, nel ‘600 l’ampio fossato venne recintato e trasformato in agrumeto; nel secolo successivo, sino all’ottocento, vennero operate trasformazioni ancor più vistose, quando parte dell’agrumeto lasciò posto ad una serie di costruzioni sulla cui sommità trovò spazio il magnifico terrazzo. L’ultimo abitante del castello fu il duca Francesco Antonio, che vi alloggiò sino al 1879, data della sua morte. Ne seguì il progressivo abbandono, con la scomparsa dei preziosi arredi e della vastissima pinacoteca, della quale il De Giorgi ci tramanda una puntuale descrizione. Fortunatamente il complesso architettonico è oggi oggetto di restauri, che ne restituiscono alla collettività l’antica magnificenza.Non molto resta dei periodo in cui Poggiardo fu sede della curia vescovile di Castro: il palazzo vescovile, edificio cinquecentesco, dopo essere stato venduto al Guarini tra le proteste della cittadinanza (1756), fu nei secoli successivi utilizzato prima come caserma, quindi come tabacchificio, per approdare ai nostri giorni irreversibilmente compromesso; sull’architrave di una delle finestre è possibile leggere “DIFFICILE EST ARGUM FALLER” (è difficile sfuggire all’occhio di Argo), con il chiaro riferimento alle scorrerie ottomane ed agli eventi che videro sventurata protagonista la città di Castro e la relativa curia.
Ricco è tuttavia il patrimonio dell’architettura religiosa; la chiesa di S. Francesco, lungo il corso Vittorio Emanuele, eretta alla fine del ‘500 assieme all’attiguo convento, ha conosciuto negli anni l’abbandono, sino al parziale crollo, per essere infine oggetto di restauri nella seconda metà dell’ottocento; di stile neoclassico, ha una sola navata rettangolare con tre altari su ambo i lati più quello maggiore; molte delle statue che ne arricchiscono gli interni sono realizzate in cartapesta, secondo una tradizione che nel Salento affonda profonde radici. Sebbene la chiesa sia votata al santo d’Assisi, la comunità locale ancor oggi vi celebra la festa dei SS. Cosma e Damiano, retaggio di quel culto d’oriente mai sopito nella devozione popolare.

La cappella della Madonna della Grotta è certamente l’edificio sacro più antico di Poggiardo, tra quelli ancora esistenti; se ne trova notizia già a metà dei ‘500, ma la presenza d’una grotta che si allarga al lati dell’altare maggiore, fa pensare ad una continuità con culti più remoti, forse collegabili alla civiltà rupestre.
Ubicata nell’area cimiteriale, con una struttura di vera e propria torre è un bell’esempio di luogo di culto fortificato; dal piano terra si accede, attraverso una scaletta, ad un unico vano superiore. Fu a lungo utilizzata per l’inumazione di cadaveri, al punto che ragioni igieniche portarono nel 1855 all’interdizione del culto. L’interno presenta affreschi, tra i quali, incorniciato dall’altare maggiore, spicca quello della Vergine, di stile bizantineggiante.
L’edificio religioso di maggior rilievo è senza dubbio la chiesa parrocchiale della Trasfigurazione del Signore, con il quale s’inaugura lo stile barocco che in Poggiardo trova rare espressioni di eleganza. Ubicata presso il Largo Chiesa, ha un’origine architettonica assai antica, databile al 1300.
La fine del 1600, con l’aumentare della popolazione, trovò la struttura insufficiente, e pertanto, nel secolo successivo, si provvide ad una pressoché totale ricostruzione: lo stile barocco si sposa qui con soluzioni architettoniche di assoluta originalità, che nelle linee tetragone della facciata a due ordini sovrapposti, si esprimono in tutta la loro magnificenza; colpisce in particolare lo slancio verticale, conchiuso da piani rettilinei, i quali, pur nell’euforia dei barocco, le conferiscono un aspetto di austero rigore. Non meno significativo l’interno, con pianta a croce latina, il cui perimetro è scandito da tre cappelle per ciascun lato, sino alla monumentalità degli altari di S. Oronzo e S. Luigi Gonzaga.
Il soffitto è finemente decorato da stucchi. Tra le numerose tele, emerge la Madonna dei Rosario, attribuita a Corrado Giaquinto. Ancora numerose le statue, sia lapidee che lignee policrome, ed ancora, nel pieno rispetto degli stilemi barocchi, i fregi e gli intarsi delle colonne tortili.
Ancora ubicata presso il largo Chiesa è la secentesca chiesa della SS. Vergine Immacolata. Il portale, di stile rinascimentale, introduce in un’unica navata rettangolare priva di transetto, la quale subito guida lo sguardo all’imponente altare maggiore in pietra leccese, del secolo scorso, arricchito dalla statua settecentesca, in legno policromo di raffinata fattura, raffigurante la Madonna Immacolata.

Meritevoli dell’attenzione dei visitatore, tra le opere minori e tuttavia non prive d’interesse, le numerose edicole sacre, sorte per spontanea devozione popolare lungo le vie dei paese. In prevalenza dedicate al culto dei SS. Cosma e Damiano e di S. Antonio, esse ebbero sino al secolo scorso una curiosa funzione secondaria: furono infatti la sola fonte d’illuminazione delle vie del borgo, sino a quando, nel 1821, una “deliberazione decurionale” non provvide a collocare i primi pubblici “riverberi”. Nel centro storico di Poggiardo, a far da contrappunto all’architettura religiosa, v’è un’architettura civile, sia nobile che popolare, di assoluto rilievo.
Lungo i vicoli dell’antico borgo, tra il biancheggiare delle minuscole abitazioni a corte ed in un silenzio appena rotto dalle attività quotidiane e dalle mille attività artigianali, il visitatore potrà perdersi in atmosfere rarefatte, cui si alterna la magniloquenza delle dimore patrizie.
I palazzi Muscio, Circolone, Zaccaria, Urso, Cotrino, Lucrezio, Sticchi, sono solo alcune delle testimonianze architettoniche che guidano l’attenzione lungo un percorso pregno di storia e di raffinata cultura.Tra questi, per la pregevolezza delle forme e l’importanza del casato, Palazzo Episcopo senz’altro merita più specifica trattazione.
E’ questa la residenza di una delle più prestigiose famiglie dei territorio, già presenti nella storia di Poggiardo sin dai primi registri parrocchiali del ‘500, che nel secolo XIX vede notevolmente accrescersi la propria fortuna. Il palazzo fu eretto nella seconda metà dei ‘700, utilizzando parte di un caseggiato più antico appartenuto alla famiglia Pipini, per essere ulteriormente ampliato appunto nel primo decennio dell’800, quando con l’acquisto di parte dell’antica muraglia, della torre e dei fossato, nuovi corpi di fabbrica si aggiunsero all’impianto originario. Di assoluto rilievo è poi il vasto giardino, detto “giardino d’Europa” per il discostarsi dalla struttura del giardino all’italiana, accostandosi invece ad una fisionomia di gusto più inglese, pur non mancando di integrare al suo interno, nell’armonico susseguirsi degli spazi e delle aiuole, la ricca flora mediterranea, così realizzando una splendida soluzione di continuità con il territorio ed il suo paesaggio.

La Cripta di Santa Maria degli Angeli a Poggiardo è, con la Cappella della Madonna della Grotta e con la vicina Chiesa dei S. Stefani a Vaste, una delle suggestive chiese-cripte ipogee che caratterizzano l’area di terra salentina attorno a Otranto.
Posta “all’estremità dello stretto che divide il mar di Siria (Mediterraneo) dal mare dei veneziani (Adriatico)”, la città di Otranto diede il nome alla terra dell’estremo Sud, conosciuta, nel corso dei secoli, come Terra d’Otranto. Terra che a partire dal V secolo gravitò attorno a Costantinopoli e, a livello religioso e culturale, ricevette da questa lingua, liturgia, spiritualità, arte e letteratura. In questo periodo si sviluppò il monachesimo eremitico iniziato in Oriente con Antonio nel 270 e sfociato, poi, nell’eremitismo monastico comunitario la cui regola fu codificata nel IV secolo da San Basilio il Grande (330 – 379), vescovo di Cesarea di Cappadocia e Dottore della Chiesa: fu il secolo d’oro di San Gregorio di Nazianzeno e di San Giovanni Crisostomo, grandi assertori del pensiero cristiano ed insieme esponenti unici del gusto classico che in essi rivisse nella purezza della lingua e nell’eleganza dello stile.
Se nel centro Nord-Occidentale c’era analfabetismo e rovina a causa delle invasioni barbariche, in Otranto la fiaccola del sapere fu custodita gelosamente e trasmessa nei secoli successivi. A compiere quest’opera furono i monasteri greci che popolavano la Terra d’Otranto. Le chiese, disseminate nel territorio, costituirono punti d’incontro tra pensiero ortodosso e latino, fra liturgia greca e latina, così come anche tra gli uomini dell’una e dell’altra sponda del canale.
L’iconoclastia diffusasi, intanto, oltremare a partire dal 725 per iniziativa di Leone III d’Isaurico al trono di Bisanzio e la conseguente persecuzione che andò perpetrandosi verso la popolazione greca ad essa ribellatasi, produsse fenomeni di culto nascosto.
In tale scenario, per lungo tempo Otranto ed il Monastero di San Nicola di Casole assunsero una posizione chiave nella strategia della cultura. La Cripta di Santa Maria degli Angeli viene citata in riferimento al prestito di uno “sticherarion” (un libro ove sono raccolti gli “stichera”, cioè i canti usati specialmente negli uffici liturgici vespertini o nelle lodi del mattino secondo i giorni di ciascun mese), fatto dal monastero di San Nicola al capo della comunità di Poggiardo, il monaco MIchele, come riportato nel prezioso manoscritto Tipikùn di Casole, in carattere minuto, dal 14° abate di Casole, Biagio (1342 – 1363): “Papas Michele di Pugiardo ha restituito lo sticherarion monologii”. Questa attività dei monaci, invece che attirare la benevolenza delle autorità, scatenò Pontefici e re di Napoli che si misero d’accordo per sopprimere quanto di greco esisteva in Italia: Gregorio I estese la gerarchia latina: i conti di Lecce e Nardò soppressero i calogerati basiliani donandoli ai Benedettini. Nel 1583, il sinodo diocesano presieduto dall’arcivescovo di Otranto Pietro Corderos, sancì l’abbandono del rito greco nel Salento, il quale, tuttavia, rimase in uso fino al XVII secolo. Assertori dell’universalismo culturale e cristiano, i monaci italo-greci lasciarono opere pittoriche, artistiche e di pensiero, che dimostrano al mondo come la dicotomia tra Oriente e Occidente non esista.

La Cripta di Santa Maria degli Angeli, sorta intorno al Mille, dopo un lungo periodo di attività di culto, nel secolo XV, in seguito all’incremento demografico e territoriale di Poggiardo, cominciò ad essere trascurata e ad andare, inevitabilmente, in disuso.
Nel secolo XVI, colmata di pietrame, fu addirittura soppressa. Seguirono secoli di noncuranza. Nel 1929, poi, nel corso di uno scavo, la casuale riscoperta della Cripta e, finalmente, la consapevolezza del pregio, del valore e dell’importanza del rinvenimento. Liberata dal materiale di riempimento e restaurata, la cripta riacquistò il suo primitivo aspetto: le splendide pitture con il loro sfolgorio d’oro, di verde, di violetto, di rosso cremisino, tornarono ad accendersi ai bagliori della terra e del cielo. La diffusa ed insanabile umidità delle pareti e l’incombente minaccia delle muffe resero però necessario lo stacco degli affreschi, che furono rilevati dalla loro sede segando le pareti su cui erano dipinti e portati all’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Restaurati con risultati soddisfacenti ed esposti ad una serie di mostre, dopo travagliata esperienza, gli affreschi tornarono nella loro terra d’origine, Poggiardo, dove trovarono degna collocazione in un museo, realizzato per volontà dell’allora Sindaco Raffaele Pascarito, ubicato nella villa comunale in Piazza G. Episcopo ed inaugurato il 12 Giugno 1975, con l’autorevole partecipazione del Presidente del Consiglio On. Aldo Moro.
La conclusione della tormentata e avvincente impresa volta alla salvaguardia, al recupero ed al rilancio culturale e turistico della Cripta di Santa Maria degli Angeli e dei suoi affreschi, beni destinati al beneficio dell’umanità, si è conclusa soltanto nel 1999.

Mille anni dopo la sua creazione, l’ipogeo, da tempo privato dei suoi affreschi, meticolosamente e fedelmente restaurato, è stato finalmente ricondotto allo splendido e fascinoso aspetto primitivo. Un aspetto felicemente completato dall’insediamento, nei pristini siti, di artistiche e durature copie, in polistirolo ignifugo, dei dipinti originali.
L’Amministrazione Comunale di Poggiardo ha saputo, così, offrire alle popolazioni locali ed a tutti i turisti, oltre alla possibilità di ammirare gli affreschi restaurati custoditi nel moderno museo nella villa comunale in Piazza G. Episcopo, anche quella di visitare l’antica Cripta con le pregevoli copie, in Via Don Minzoni.

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